La libertà di informazione rappresenta un pilastro della democrazia e assume un ruolo centrale e irrinunciabile nel quadro dei valori disegnato dalla Costituzione della Repubblica.
A Trinitapoli Il Peperoncino Rosso svolge da 24 anni una funzione essenziale nello sviluppo della società civile e nella sua tenuta come comunità fondata sui valori della solidarietà, dell’eguaglianza, della correttezza e della qualità dell’informazione. Il giornale pur avendo una chiara linea editoriale di sinistra ha dato voce, nel corso degli anni, a persone di diversa estrazione politica legate, comunque, da un profondo rispetto reciproco, come ad esempio gli articoli sull’insegnante Raffaele Capodivento, ex sindaco democristiano di Trinitapoli: (Pag. 14 Peperoncino rosso febbraio 2013).
Da anni è ormai prassi consolidata del gruppo di sodali che fa capo alla famiglia Di Feo utilizzare l’offesa e l’attacco personale per denigrare il lavoro informativo di chiunque voglia esprimere un’opinione diversa dal canovaccio famigliare di slogan ingiuriosi.
Se si vuole vivere tranquilli a Trinitapoli bisogna mettersi il tappo in bocca e chiudere le pubblicazioni de Il Peperoncino Rosso.
In particolare, sulla sciagura che ha colpito il Consiglio Comunale di Trinitapoli, sciolto per infiltrazioni mafiose, gli insulti sono diventati ancora più ossessivi e infamanti nei riguardi di chi ha “osato” criticare l’autocandidatura a sindaco dell’avvocato Francesco di Feo e i veloci traslochi da un partito all’altro di persone che diventano per investitura segretari politici di partiti inesistenti in loco. Nascono come funghi partitini che si prestano ad offrire i loro simboli da stampare sotto una lista di coalizione fantasma. Uno spettacolo indecoroso di una politica che ricorda l’avanspettacolo allorché si apprendono, sempre dal palcoscenico di Facebook, le motivazioni “ideali” che spingono componenti della Fabbrica del Futuro a farsi designare coordinatori, segretari o responsabili di tanti piccoli bidoni vuoti.
La critica, per chi crede nella democrazia, ha sempre un valore positivo perché mira, come nel mio caso, a sottolineare la pericolosità di scelte simili che dissuadono le nuove generazioni a partecipare ad un agone politico nel quale non c’è alcun confronto ma solo segretari single, senza esercito, prestanome di un ex sindaco che avrebbe bisogno di qualche anno di “decantazione”. Nel nostro vocabolario queste valutazioni non sarebbero neanche considerate “critiche” bensì consigli di buon senso per evitare di far precipitare il paese in un baratro ancora più profondo.
Gli insulti, invece, che abbiamo letto nelle ultime settimane nei post che circolano senza alcun pudore nella piazza di Facebook celano la precisa volontà di calunniare e di recare gravi offese alle persone. Ve ne mostriamo solo alcuni perché i lettori del nostro giornale sono anche studenti che intendiamo difendere dalle volgarità degli stalker seriali.
Mi auguro e auguro che venga rivalutato il sentimento dell’indignazione, che è la prima reazione per vincere la rassegnazione, il primo moto per sconfiggere l’indifferenza o “mifaccioifattimiei”, insomma il sintomo che non siamo diventati impermeabili alla arroganza e alla volgarità latente e molto diffusa.
Se la trivialità dei “fabbricanti” di insulti e calunnie non distraesse il “buon popolo di Trinitapoli” forse la Politica con la P maiuscola ritornerebbe ad interessare le nuove leve senza il timore di essere insultate da chi la sera ricorre a Padre Pio per invocare il perdono.
P.S. L’attacco contro le lotte sindacali degli anni ’60, di cui fu protagonista l’ex segretario della Lega Braccianti avv.to Arcangelo Sannicandro, merita un capitolo a parte. Per chi scrive sull’argomento senza conoscere i fatti, vittima dei racconti infamanti dei soliti calunniatori, suggeriamo per il momento di guardare il cortometraggio girato sugli scioperi del 1969 a Trinitapoli che furono determinanti in Italia per la firma dei contratti di lavoro che consentirono di ottenere diritti e paghe più giuste.